"L'EREDITA'"

Il Capozzi era uno "scapestrato" per modo di dire.

Uno di quegli uomini lavoratori, in genere buoni e gentili, che ogni tanto perdevano la tramontana combinando un sacco di casini.

Ma certa gente si ricordava soltanto dei casini e non delle dure giornate di lavoro, dei sacrifici e dell'altruismo che avevano piastrellato la vita del disgraziato.

Ora credeva di essere quasi a posto.

Era un professionista stimato, bravo ed accorto nel suo lavoro anche se non ambizioso, un buon padre di famiglia, pronto a rinunciare a tutto per i suoi figli, ed un marito affettuoso e premuroso.

Per la madre, soprannominata la "Chirurga" per la sua professione, ed i fratelli egli restava però sempre "quel pazzo scostumato del Fosco".

Quando era morto il padre, il vecchio "Professore", Fosco Capozzi, ragioniere commercialista, aveva intelligentemente orchestrato la pratica della successione, eludendo con arguzia le pesanti imposte, ma, nel contempo, aveva dovuto richiedere alla madre di rinunciare alla sua quota di legittima.

L'aveva fatto scientificamente, pensando in onestà che la madre avrebbe goduto comunque della sua ricca pensione e di quella del padre e, in ogni caso, sia i fratelli sia lui avrebbero provveduto ad ogni problema dell'anziana "Chirurga".

Poi era venuto il cancro, con le lunghe terapie antiblastiche e le maledette radiazioni.

Aveva fatto dei patti con la tremenda affezione, cercando una difficile convivenza con un male che non poteva essere sradicato ma con cui si poteva trovare un accordo, però non era più tornato quello di prima.

Dolore e sofferenza gli avevano inferto una dura lezione.

Quel mattino di primavera , lindo e terso come fosse stato dipinto con la biacca, aveva avuto un'aspra discussione con madre e fratelli.

La Vecchia rivoleva la sua parte ed i fratelli, tirchi e presuntuosi, decisi a non perdere un citto della "roba" in questione, l'avevano accusato di aver incasinato tutta la faccenda a discapito loro e della madre.

Tornato a casa senza aver definito alcunché, la moglie ed i figli, vedendolo stravolto, avevano voluto sentire tutta la faccenda.

Poi l'avevano lasciato ad arrovellarsi nello studio, mentre si malediceva per non aver lasciato le cose come avrebbero dovuto essere.

Solo nel tardo pomeriggio la famiglia gli si presentò davanti al completo.

Il figlio maggiore, un gigante alto due metri con una faccia di granito, gli disse:" Vecchio! a noi della "roba", non ce ne importa un tubo. Io sono ormai un professionista che lavora e guadagna il suo pane. A mia sorella ed alla Mamma provvederò sempre io, se ti succedesse qualcosa e Dio non voglia.

Per trent'anni ti sei sputtanato, lavorando come una bestia in casa e fuori, rovinandoti la vita e la salute per renderci quelli che siamo.

Ora basta! Restituisci quelle due merdate di cui ti importa solo per noi e per la nostra sicurezza e manda a fare in culo una volta per tutte la Nonna e gli zii."

Mentre la figlia, una splendida brunetta di assistente universitario, gli abbracciava teneramente le spalle la moglie lo guardò dritto negli occhi." Fosco...,- gli sussurrò con dolcezza la bionda austro/pugliese che lo aveva reso padre e marito- quando ti ho sposato mi sono maritata anche con un patrimonio ed un ceto sociale. Dopo trent'anni, di tutte le cose che ho avuto ce n'è una sola a cui non sono disposta a rinunciare e quella sei tu! Perciò non rompere e fai quel che Ti diciamo."

Il Capozzi si sentì dentro quella struggente sensazione che , ormai di rado, gli faceva perdere la tramontana.

Prese la cornetta del telefono ed in quattro e quattr'otto definì gli aspetti giuridici della questione, sistemando la madre ed i fratelli.

Poi, mentre guardava la televisione circondato dalla moglie e dai figli, pensò per un attimo di avere combinato l'ennesimo casino.

Aveva rinunciato ad un mucchio di beni per se e per la sua famiglia, ma, stranamente, gli sembrava di aver concluso il miglior affare della sua vita

Non si era mai sentito così forte e così ricco!




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