"LA BAMBINA"
Don Carlo lo vedeva passare tutte le mattine.
Dritto come un rovere e con quegli occhi freddi e gelidi come l'inverno.
Di antica famiglia genovese, il "Professore", come usualmente era chiamato dalla gente, era per Don Carlo l'emblema di tutto ciò che la sua fede doveva condannare.
Dichiaratamente agnostico, dicevano fosse massone fino al midollo e che tutto ciò che faceva fosse dettato dalla razionalità e dall'interesse.
Nonostante questo gli abitanti del quartiere gli si rivolgevano spesso per consigli ed indicazioni ed alle minacciose rimostranze di Don Carlo, un pezzo di parroco alto sei piedi, largo poco meno e con due braccia che sembravano tronchi d'albero, rispondevano duramente e con coraggio:" Padre, ogni cosa ha un suo prezzo ed il prezzo del "Professore" lo paghiamo volentieri. Oltretutto Lui non ci dice mai di no!".
Inutilmente Don Carlo protestava che si trattava di un servo del Demonio. Un uomo che viveva nel peccato, più volte divorziato, con due famiglie a carico, e senza pudori morali o spirituali.
Inutilmente ricordava ai parrocchiani che ad andare con lo zoppo s'impara a zoppicare.
Quelli gli dicevano di sì, che ci avrebbero pensato, ma poi continuavano a fare lo stesso.
Fu solo dopo l'episodio della bambina che Don Carlo cambiò bandiera.
Qualche tempo prima alcune famiglie di profughi istriani si erano sistemate, con l'autorizzazione del Comune, nella spianatina della Foce e lì, con servizi precari ed in baracche di lamierino, cercavano disperatamente di sbarcare il lunario.
Una notte di tregenda per l'imperversante temporale Don Carlo si svegliò di soprassalto per le bussate alla porta della canonica, tanto violente da sovrastare anche i boati dei tuoni.
C'era uno dei capi zingari di sotto, accompagnato da un ragazzetto, che gli gridò di correre all'accampamento perché c'era bisogno di lui.
Fradicio marcio per la pioggia battente e per i due chilometri percorsi a spron battuto nella fanghiglia della Foce , Don Carlo fu condotto dentro una delle baracchette dove su di un pagliericcio, tra stracci , coperte consunte e spifferi maledetti, giaceva una bambina di poco più di due anni. Accanto a Lei, alto e dritto e con occhi rabbiosi, stava il Professore.
"Don Carlo, - l'apostrofò duramente - la piccola è molto grave e l'Ospedale cittadino ne ha rifiutato il ricovero. Questa è povera gente , ma piena d'orgoglio, e non vuole soldi da me che potrei mandarla in una Clinica privata.
Lei, che è un prete, potrebbe farla portare all'Ospedale delle Orsoline e questi strapelati non oseranno rifiutare l'aiuto e l'assistenza della santa madre Chiesa.".
Nell'agitazione del momento e sorvolando sulla pesante ironia dell'eretico Don Carlo si diede da fare come un matto e meno di due ore dopo la bambina era in un letto pulito, aveva fatto tutti gli esami e cominciato la terapia con ottime speranze.
Soltanto allora il grosso parroco chiese al capo zingaro che diavolo centrava il mangiapreti con Loro.
"Padre - sorrise lo tzigano - noi Rom siamo gente speciale e non elemosiniamo soldi da nessuno. Soltanto il Professore" e lo disse con la maiuscola iniziale:" tra i suoi compaesani, è riuscito a darci una mano senza umiliarci.
Per poterci aiutare ha già fatto affilare i suoi coltelli cinquanta volte e ci ha fatto fare dieci volte la stessa commissione.
Non una volta ha alzato la voce contro la nostra fede, che è anche la vostra, o contro il nostro modo di vivere." e continuò beffardo: "Dicono che è un anticristo ma lo sa Lei che in cambio del suo aiuto esige la promessa che lo stesso aiuto venga dato ad un altro."
Ora Don Carlo ed il "Professore" trascorrono molto tempo insieme, per lo più litigando, ma il pastore di anime tollera pazientemente le critiche pungenti del pedante razionalista, sentendo in fondo al cuore che un Dio che fa con serietà il proprio mestiere sa ben distinguere tra forma e sostanza e permetterà Loro di litigare anche dall'Altra Parte.
aprile '96