FURORE

 

"Porca Madonna!..."

Esplosi, sbattendo la porta di casa ed uscendo sul ballatoio.
Nel cervello mi turbinava il casino dei soliti pensieri:
a) la uccido;
b) mi uccido;
c) uccido entrambi;
d) ma chi cazzo me lo fa fare?;
e) etc. etc. pensa ai bambini ( 19 e 17 anni) , e via così....
Uno schifoso velo rosso mi annebbiava la vista e sbuffi adrenalinici mi facevano vibrare come un diapason.
Con la consueta idiota determinazione feci una mezza rotazione sul busto e scaraventai un pugno contro il muro di fianco all'ascensore.
Il dolore mi balenò lungo il braccio, liberatorio...
Controllando il danno sulle nocche e cercando di tamponare il sangue (che, in vista del mio pessimo rapporto con le piastrine, avrebbe impiegato un paio d'ore a smettere di fluire) pensai che qualcosa di sbagliato doveva esserci anche in me.
Non poteva essere pazza e scema soltanto Lei.
Dovevamo essere scemi tutti e due!
Entrai nel malefico montacarichi (un bidone d'alluminio che in-trappolava condomini come topi un giorno sì e l'altro anche) e all'improvviso mi si rizzarono i capelli ed i peli del corpo.
Come mi accade sempre quando succede qualcosa di inusuale ero, all'improvviso, calmo e quieto, immerso in quella strana forma di premonizione che mi colpisce quando la luce diventa indistinta e le ombre prendono forma corposa.
Controllai l'orologio.
" l'una e diciotto di mattina"
Un lampo di furore mi traversò nuovamente il cranio.
La melefica puttana aveva colpito ancora.
La mattina sarei stato stravolto , sconvolto dalla stanchezza e furente per non essere stato capace di proteggere quel poco di vita che mi restava.
Aprii la doppia anta del portone ed uscii in strada.
Gli squarci blu/neri di cielo tra le cimase dei palazzi del centro attirarono come al solito la mia attenzione, ma quando riportai lo sguardo ad altezza d'uomo, le mura degli edifici sembravano tremare lievemente e le strade parevano gole tra ripidi precipizi.
Vedevo foreste attraverso la città ed immensi pterodattili veleggiavano abilmente sopra il mio capo. Decisi di dirigermi verso il colle delle navi e mi preparai sciogliendomi i capelli e snodando la treccia in cui li compongo il mattino.
Dopo la chemioterapia e la radio i capelli mi sono riscresciuti radi ma lunghi, e ho deciso che , cancro o non cancro, per il futuro avrei lasciato che cadessero o crescessero come volevano. Io non li avrei mai più tagliati.
Traversai la strada/alveo, evitando destramente gli enormi bufali/auto con occhi di luce che cercavano di schiacciarmi, e mi in-trodussi nelle gallerie che conducevano alla piana del Menhir. La stasi vibrante del morbo mi colpì vicino alle colonne/stalattiti.
Piano piano mi lasciai scivolare al suolo, pensando a come, pur essendo geneticamente e culturalmente preparato a controllare l'ambiente e me stesso, così da sopravvivere a qualsiasi pericolo esterno anche in condizioni estreme, ero riuscito a farmi fottere da una qualche sconosciuta variabile.
E' strano ma ora, sapendo che il cancro è di nuovo dentro di me (se pure se ne è mai andato), non mi sento scosso ne trasparente come quando me lo dissero/lo scoprii la prima volta.
Sono solo un poco stanco e molto incazzato all'idea di dovermi divorare/far divorare una/da una parte di me stesso.
Davanti a me c'era l'Arco con la piccola fiamma nel braciere sottostante.
La piana era ampia ed il cielo nero e blu e grigio di mandrie di cirri impazziti mi saziava la mente ed il cuore.
Dolcemente, quasi con garbo, rabbia e furore defluirono mentre i miei sistemi di centraggio ricominciavano a funzionare. I pixel folli nella mia testa ricomposero il puzzle ed osservando Piazza della Vittoria e la scalinata delle caravelle, l'idea di tornare dall'unica e mostruosa entità che allontanava la noia dalla mia esistenza divenne assorbente.
Non era la Strega che mi faceva folle di rabbia, ma la mia incapacità di corrispondere alla sua "immagine" di me.
La diabolica Entità mi riteneva onnipotente ed immortale, mentre io ero solo capace di amarla.


Settembre 1994






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Marco Capurro

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